Tra le più disperanti assenze che l’arte recente lamenta va innanzitutto annoverata quella del Nuovo, inteso come aurea spontaneità e non già come ricerca del nuovo. Ma la stessa spontaneità è condizione attualmente assente – surrogata com’è dalla incontinenza che, lungi dall’attestare una buona condizione fisiologica, esibisce impudicamente i sintomi di collassati sfinteri – del pessimo funzionamento dei quali una frangia della società parrebbe affetta, come testimoniano, con dovizia di raccapriccianti esempi, le quotidiane cronache; e non dell’arte soltanto.

      Nuovo parve quel materiale fecale che, negato a congrui luoghi di decenza, fu invece destinato al mercato dell’arte e – sigillato e suggellato in barattoli etichettati con memorabile didascalia – dato in pasto a voraci e onnivori fruitori del nuovo purchessia. Era presagio di tempi futuri nei quali, con sillogismo sghembo, ognuno, scoprendosi visitato da peristalsi, si sentì vocato all’arte e determinato a praticarla.

      All’opposto, il costipato e strenuo intellettualismo di molte opere, che ad una malintesa e degradata spontaneità si oppongono, testimonia la difficoltà di trovare quelle soluzioni nuove di cui parlava Picasso quando diceva di non volerle cercare ma di saperle trovare. A parole, il processo sembrerebbe semplice: basterebbe farsi “trovatori”, con in più l’aggettivo “novelli”. Ma nell’arcaismo, come ognun sa, molto è dato trovare; ma non il nuovo.

      Dove risiede allora il nominatissimo valore se ovunque lo si cerchi non se ne trovano che fuorvianti tracce?

      In un film di Hitchcock dal titolo Intrigo Internazionale (titolo tanto inconsapevolmente sociologico quanto sociologicamente significativo) la sceneggiatura costruisce un singolare personaggio non corrispondente ad alcuna concreta persona e la cui fittizia fisionomia è costituita dai soli segni che il passaggio dell’irreale personaggio produrrebbe, se la persona esistesse davvero.

      Poche metafore sembrerebbero altrettanto emblematiche della falsificazione del nuovo nella nostra recente cultura, la quale ne addita continuamente la ubiqua presenza, fingendo d’ignorare che di presenza obliqua si tratta; fatta di soli ingannevoli attributi, in assenza di un soggetto al quale attribuirli.

      Che altro dire allora di qualcosa di cui resta soltanto memoria e che non è dato esperire se non in modo simulato? I fruitori dell’arte del presente hanno le stesse probabilità d’imbattersi in un autentico Nuovo dei bambini di New York d’incontrare una gallina ruspante per le strade di Manhattan. Devono recarsi allo zoo, quei bambini, per sapere che cos’è una gallina, viva ovviamente: soltanto lì infatti possono fare esperienza della gallina stessa; ma esperienza mistificata.

      Se si conviene che gli animali visti allo zoo risultano diversi dai loro simili altrove locati; se si consente che i nostri concerti, mostre, musei d’arte contemporanea altro non sono che gli zoo delle opere in cattività o peggio dei loro catturati autori, si potrà mestamente concludere che il nuovo non abita più qui. E non ha lasciato alcun recapito.