Prima di lumeggiare il brano Son’ora devo enunciare alcuni postulati. Con il declino del sistema tonale – sopravvissuto nella musica di consumo – è venuto meno un codice musicale socialmente condiviso. A seguito della fine del sistema tonale i compositori di musica colta si sono dovuti dotare di codici autoreferenziali privando in tal modo se stessi e il fruitore della captazione dell’uso che del codice-grammatica fà il compositore: codice ignoto all’ascoltatore in quanto sistema socialmente non condiviso. D’altra parte l’assenza di un codice condiviso costringe il compositore a dotarsi di uno alternativo ancorché solipsistico. La dialettica fra codice ed esito, da esso scaturibile, è imprescindibile per comporre.
Sul piano essoterico e fenomenologico la sonorizzazione di Son’ora mostra un itinerario formale che dalle pausate battute iniziali si trasforma gradualmente in una drammatica sequenza dove il silenzio, prima evocatore di un’aura misteriosa e rituale diviene, poi elemento dialettico con il quale si confrontano eventi pianistici irruenti e sempre più tali. Le figurazioni sono fisionomiche ed icastiche.
Sul piano esoterico dietro Son’ora ferve un codice nel quale confluiscono ipotesi filosofiche e talune invenzioni di tecnica compositiva. Quest’ultima è rappresentata – tanto per fare un esempio – dall’estensione della pratica dell’ aumentazione e della diminuzione – dalla tradizione contrappuntistica riservata alle sole durate – agl’intervalli melodici: questi ultimi connotati dal numero delle note che li compongono. Esempio: l’intervallo di seconda maggiore, costituito da tre note del sistema temperato, potrà essere “aumentato” raddoppiando il numero delle note costituenti. Divenendo sei il numero raddoppiato produrrà una quarta giusta. Non potrà invece essere diminuito essendo l’intervallo tre dispari. Il sistema temperato non ammette infatti divisioni intervallari producenti quozienti dotati di decimali. A questo punto interviene la distinzione fra intervalli “pari” e intervalli “dispari”. I primi aumentabili e diminuibili. I secondi aumentabili ma non diminuibili. Gl’intervalli dispari dispongono però di un centro, ossia di un’altezza equidistante dagli estremi dell’intervallo.
Si sarà compresa la suggestione filosofico-pitagorica del codice adottato da Son’ora. L’assioma secondo il quale “il libro della natura parlerebbe il linguaggio della matematica” (Galileo Galilei) risulta capovolto nella più sofisticata forma di antropomorfismo escogitata dall’uomo. In questa accezione è stato adottato il codice pitagorico alla base di Son’ora, smentendo una tendenza scientista della poetica adottata. La natura non potrebbe essere conosciuta per “quello che è”. Quello che “essa è” non sarebbe accessibile se non come modalità con la quale opera il percettore. Percipiente e percepito (il brano in questione) resterebbero pertanto divaricati e non sovrapponibili. Questa la dimensione esoterica del brano la cui fisionomia può coincidere solo con il modo in cui il fruitore lo capta.
L’inaccessibilità del codice pitagorico costringe così il compositore di Son’ora a investire tutto se stesso in invenzione ed efficacia affinché l’esito finale abbia autonoma fruibilità rispetto al codice generativo. Lasciando quest’ultimo nel buio della inaccessibilità sistemica.
In altre parole, più semplici, qualunque sia il codice adottato l’esito finale, la musica, ha da essere bella. Qualunque sia l’idea di bellezza che ciascuno detiene.