Secondo un luogo comune – anche alle avanguardie musicali – la profondità è attingibile nei riposti meandri del pensiero. Chi privilegia il pensiero e la sua profondità a scapito del senso non si avvede che il privilegio è accordato ad un pensiero sostanziato di parole e non di suoni. Questo significa che quel pensiero sconfina facilmente nella filosofia e nella ideologia anch’esse costituite da parole. Secondo una riflessione di Salvatore Quasimodo “i filosofi sono i nemici naturali dei poeti”.
Le avanguardie e le neoavanguardie ascoltarono e lessero le parole sulla musica invece di ascoltare e leggere la musica mediante i suoni dei quali è l’arte.
L’equivoco produsse esiti funesti attestati da quelle composizioni che in sede di ascolto non rivelavano alcunché che non fosse comunicabile con le parole: con le sole parole. Il pubblico ascoltava ma non capiva quella musica nata – non importa se inconsapevolmente – per negare se stessa e negare chi l’ascoltava. Fu invocato l’acculturamento dei fruitori. Pochi furono sfiorati dal dubbio che a non capire fossero i compositori e non gli ascoltatori i quali al cospetto di una pseudomusica pregna di pensiero di sole parole naufragarono nelle acque della insignificanza musicale e disertarono i luoghi nei quali si celebravano quei riti.
Ai soli compositori non è dato sovvertire le condizioni socioeconomiche che quell’isolamento produssero e producono. Ma si ritiene di dovere enunciare la parziale responsabilità di tanti critici, compositori e operatori musicali che si connvinsero che della predetta apartheid fosse responsabile l’ignoranza del pubblico. Dissento dalla opinione di coloro che attribuiscono al pubblico la responsabilità del suo rifiuto della musica negativa.
L’imperversare vampiresco dei molteplici Allevi è anche il frutto avvelenato del nostro non esserci interrogati sull’esoterismo, il solipsismo e l’autismo di molta musica colta contemporanea.
Becket scrisse nel romanzo L’INNOMINATO la seguente vicenda: un personaggio del romanzo si trova al cospetto di una scala e s’interroga sul quesito relativo a quale piede – destro, sinistro – utilizzare per avviare la salita della scala. Dall’iniziale quesito ne scaturiscono infiniti altri. Scelto l’arto d’avvio con quale piede giungerò sul pianerottolo? Se potessi contare i gradini sarei in grado di rispondermi. Ma la scala compie una svolta a sinistra, sottraendosi alla vista. I quesiti si moltiplicano vertiginosamente…
Non vi sembra di riconoscere nei rituali autistici del personaggio beckettiano modalità operative consuete a taluni compositori delle avanguardie e neoavanguardie compositive.